I Comuni rappresentano solo il 7,6 per cento della spesa pubblica totale, quindi il controllo dei conti dovrebbe essere esercitato sui settori che rappresentano il peso più rilevante della spesa pubblica, in primo luogo le amministrazioni centrali dello Stato.
I Comuni rappresentano poi solo il 2,5% del debito totale del paese e peraltro i Comuni possono indebitarsi solo per investimenti. Risulta incontestabile che le necessarie politiche nazionali di riduzione del debito dovrebbero essere concentrate anche sugli altri settori pubblici, a partire dallo Stato. E invece sarebbe necessario che, per contribuire alla ripresa dell’economia, i Comuni possano di nuovo riprendere a programmare investimenti, con una piu’ ampia possibilità di accedere a mutui, modificando gli attuali tetti che di fatto inibiscono qualsiasi possibilita’ di sostenere le spese in conto capitale.
I Comuni hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica negli anni tra il 2007 ed il 2014 per circa 16 miliardi, 8 miliardi e 700 milioni in termini di patto e quasi 7 miliardi e mezzo di riduzione dei trasferimenti. Infatti i Comuni nel 2012 presentano un avanzo ( differenza tra le entrate e le spese ) pari a 1 miliardo e 667 milioni, corrispondente al 2,57 percento delle entrate. Al contrario lo Stato registra un deficit di 52 miliardi, pari al 13,26% delle entrate.
Il prezzo del risanamento e’ stato pagato fino ad oggi dai Comuni che, non solo hanno subito tagli ai Trasferimenti, ma subiscono pesantemente la contrazione degli investimenti per più di 4 miliardi, pari a una riduzione del 28% nel periodo 2007/2012. È arrivato il momento di far ripartire gli investimenti attraverso il superamento dell’attuale impostazione ed introdurre immediatamente la golden rule, cioè una regola che vincoli i Comuni all’equilibrio di bilancio e non imponga più di creare avanzi che mortificano e sacrificano la spesa per investimenti.
La spesa corrente dello Stato conosce un aumento dell’8%, mentre le entrate aumentano del 4,26%; al contrario i Comuni riducono la spesa corrente del 2,5%, e vedono sostanzialmente invariate le entrate correnti. Tutto ciò perché le recenti scelte operate hanno portato a chiedere un contributo sempre maggiore ai cittadini anche attraverso l’IMU, che non è stato destinato ai Comuni ma al risanamento del bilancio statale. Quindi i cittadini hanno visto aumentare la pressione fiscale locale senza che ne abbiano beneficiato. È il capovolgimento del principio di autonomia e responsabilità su cui si fonda il patto elettorale tra sindaco e cittadini.
Tra il 2012 ed il 2013 la situazione non cambia, anzi si aggrava. Osservando il gettito reale dell’IMU ed il valore dei contributi statali le entrate dei Comuni si riducono ulteriormente di un miliardo (4,22%). Tale situazione è resa inoltre più grave dall’incertezza sul rimborso ai Comuni della seconda rata IMU prima casa. Si tratta di quasi tre miliardi, di cui 500 milioni legittimamente deliberati dai comuni nel 2013.